mercoledì 25 novembre 2015

Varroa destructor: descrizione malattia e possibili rimedi naturali

Premesso che ritengo tutte le sperimentazioni di Velapé interessanti, da farsi e da approfondirsi, sono convinto anch'io, come lui e come tutti gli altri sostenitori dell'apicoltura naturale, che il parassita Varroa destructor, abbia preso tale sopravvento sulle api sia perché ha a che fare con api fortemente stressate dalla produzione intensiva di miele che gli viene continuamente e totalmente sottratto dall'apicoltore e sia per l'effetto selettivo dei trattamenti acaricidi (siano essi eseguiti con prodotti di sintesi o meno), i quali, in realtà, a lungo termine, finiscono per favorire solo la resistenza e la specializzazione delle varroe.
Prima di dire quali possono essere i criteri più razionali ed anche più ecologici per il controllo della varroatosi, dico subito che essa è una malattia propagatasi in Italia dal 1981 (quando se ne registrò il primo caso) e che è ormai presente in qualunque alveare dati anche i motivi precedentemente menzionati: si tratta pertanto di una malattia che non si può eradicare e con la quale bisogna convivere puntando il più possibile a far sviluppare, da parte delle stesse api selezionate in tal senso, forme di difesa naturale (resistenza/tolleranza) e, contemporaneamente, riducendo lo stress da "produzione intensiva" da parte dell'apicoltore "esigente" nei confronti delle povere api, con l'adozione, invece, di una apicoltura bio-naturale mediante l'utilizzo di arnie e motodologie più "soft e adeguate" come l'arnia verticale "Perone" e/o l'arnia orizzontale "KTBH" (Kenya Top Bar Hive).

Prima di continuare col discorso ed affrontare, per così dire i rimedi dal mio punto di vista e che ritengo più giusti  per il controllo della Varroatosi (o Varroasi), passo prima a descrivere un po' la malattia, per comprendere meglio di cosa si tratta. 

L'acaro Varroa destructor non è un insetto ed appartiene alla classe degli Aracnidi, che è la stessa alla quale appartengono anche i ragni.
Gli individui dannosi risultano essere fondamentalmente le femmine che attaccano le api succhiandone l'emolinfa (azione sottrattiva) dopo averne lacerato il tegumento con delle minuscole lame dentate (azione meccanico-traumatica).
Tuttavia, contrariamente a quanto si possa pensare, il danno maggiore procurato alle api dalla varroa non è dato tanto dalla loro azione diretta, alla quale comunque ne consegue un forte indebilitamento dell'ape adulta con riduzione della crescita (dimensioni), delle capacità di lavoro, del tempo di vita (di circa il 50%) e della vitalità in generale, bensì dalle conseguenze cosiddette "indirette" a causa della trasmissione di malattie importanti quali batteriosi e virosi e che descrivo in seguito (vedi Azione patogena indiretta).


Fig. 1 - Varroa (femmina adulta vista dorsalmente e ventralmente)
Fig. 2 - Stadi di sviluppo di Varroa destructor (femmina)

Fig. 3 - Femmine adulte di Varroa destructor mentre parassitizzano una pupa di ape


Fig. 4 - Femmine adulte di Varroe destructor mentre parassitizzano api adulte

I maschi di Varroa, invece, sono più piccoli delle femmine (dimorfismo sessuale), circolari, biancastri e sono praticamente innocui perché non escono mai dalla cella di riproduzione dell'ape e vivono giusto il tempo per fecondare tutte le femmine mature (sorelle e figlie) della progenie di quell'adulto femmina che riesce ad insinuarsi nella cella di riproduzione prima dell'opercolatura; i maschi, dicevo, vivono per poco perché non sono in grado di nutrirsi dato che il loro apparato boccale, sprovvisto di organi per forare il tegumento dell'ape, ha una funzione essenzialmente riproduttiva.

Fig. 5 - Maschio di Varroa destructor

Fig. 6 - Varroa destructor in fase di accoppiamento

Detto questo va anche spiegato che esistono due fasi nel ciclo biologico di quest'acaro parassita:

  1. una fase detta "Foretica" (dal greco phòresis = il portare, trasporto) In cui la varroa si aggrappa alle api adulte nutrendosi della loro emolinfa e trasferendosi da un'ape operaia all'altra per semplice contatto;
  2. una fase detta "Riproduttiva" in cui la varroa si riproduce a spese della covata delle api: un giorno o due prima dell’opercolatura della covata, la varroa entra nella cella dove, ad opercolatura completata, avviene la sua riproduzione a spese della pupa di ape; da qui nascerà una progenie di varroe adulte (femmine) che usciranno dalla covata sul corpo dell'ape parassitizzata che sfarfalla. 

Durante la fervida stagione apistica queste due fasi coesistono, mentre da fine autunno per il periodo invernale la fase riproduttiva della covata è assente e pertanto esiste solo la fase foretica in cui le varroe sono costrette a svernare sul corpo delle operaie, proteggendosi tra le lamine ventrali dei segmenti dell’addome.

Fig. 7 . Svernamento della Varroa destructor

La maggior parte degli apicoltori approfittano di questo breve lasso di tempo per intervenire con la lotta all’acaro, che, trovandosi (per lo più) allo scoperto, non può sfuggire ai trattamenti, ma dico già fin da ora che, a mio modesto avviso, ciò è sbagliato per le ragioni che poi spiegherò in seguito, dopo avere mostrato più in dettaglio il Ciclo biologico della varroa.
Fig. 8 - Ciclo biologico della Varroa destructor (Fase foretica + Fase riproduttiva)

Ovviamente la varroa preferisce riprodursi nelle celle dei maschi (fuchi) rispetto a quelle delle operaie, perché il ciclo di riproduzione dei fuchi è più lungo e quindi consente loro di avere più tempo per riprodursi fino allo sfarfallamento dell'ape adulta.
La femmina di varroa adulta riproduttrice deve entrare nella celletta di riproduzione prima che venga chiusa dalle api (opercolatura) ed in genere vi entra circa 12 ore prima.
Una varroa può deporre un massimo di 6 uova ogni 30 ore per ciclo riproduttivo; dal primo uovo (aploide) nascerà l’unico maschio della covata mentre dalle successive uova (diploidi) nasceranno solo femmine. Il maschio diventa già sessualmente maturo quando la prima femmina della progenie diventa adulta accoppiandosi subito con essa. Successivamente, il maschio si accoppia con le altre femmine sorelle via via che maturano sessualmente. Le femmine così fecondate sono già in grado di dare inizio ad un nuovo ciclo riproduttivo dopo un periodo di maturazione di almeno 5 giorni. Alla fine l'ape diventata anch'essa adulta a fine metamorfosi, sfarfalla dalla celletta con addosso attaccate diverse femmine di varroa adulte che sono diventate tali a sue spese e pertanto siamo già di fronte ad un'ape adulta seriamente compromessa a livello di salute. Questo è anche il primo motivo che rende secondaria la lotta alla varroa in fase foretica e più urgente e necessaria invece la lotta all'acaro in fase riproduttiva! 

Meccanismi di difesa attiva delle api:
  • Apertura e rimozione delle celle parassitizzate
  • Spulciamento (grooming):
    • Self-grooming
    • Allo-grooming

Meccanismi di resistenza della Varroa:
  • Mimetismo fisico (allineamento peli con quelli dell’ape)
  • Mimetismo chimico (odore simile a quello dell’ape)

Azione patogena diretta (azione spoliatrice e traumatica)
  • morte della covata
  • riduzione dimensioni e peso dell’ape dal 7% al 25% (mini fuchi)
  • riduzione durata di vita fino al 50%
  • riduzione e disfunzioni ghiandolari

Azione patogena indiretta = trasmissione di:
  • Batteri (Pseudomonas apiseptica; P. aeruginosa; Serratia marcescens; Hafnia alvei) E’ stato, invece, accertato che la V. non è in grado di trasmettere la peste americana
  • Virus (DWV - virus delle ali deformate; APV – virus della paralisi acuta APV + DWV = forte accorciamento della vita dell’ape –collasso famiglie in inverno quando il rimpiazzo è scarso; CWV –cloudy wing virus; SPV – virus della paralisi lenta; CPV – virus della paralisi cronica) Sono la causa principale della mortalità
  • Funghi (Ascosphaera apis – responsabile della “covata calcificata”) Il ruolo della V. non è chiaro, ma in presenza di acari l’incidenza della patologia è doppia immunodepressione riduzione del glicogeno dei muscoli del volo

Fig. 9 - Ape con ali deformi a causa del virus DWV (virus delle ali deformate) trasmesso dalla Varroa destructor

Ora è possibile comprendere un'altra delle ragioni per cui, secondo me, è profondamente sbagliato combattere la Varroa durante la fase foretica: uccidendo le Varroe in fase foretica si interrompe quel meccanismo naturale di pressione selettiva esercitata dalla presenza del parassita e che rende possibile lo sviluppo di queste forme di resistenza da parte delle api parassitizzate: l'ape adulta non riesce a sviluppare bene quei comportamenti e quei meccanismi che in qualche modo contrastono la malattia mantenendola in limiti accettabili (tolleranza) tipo ad esempio l'attività di spulciamento e di pulizia detta più comunemente grooming.
La resistenza genetica alla malattia, che è poi il metodo di lotta più efficace in assoluto in quanto "naturale", punterebbe fondamentalmente alla selezione di famiglie di api, partendo dalla regina, in possesso delle seguenti caratteristiche:
  1. api che abbreviano il tempo di opercolatura delle cellette rendendo più difficile l'insediamento dell'adulto di Varroa;
  2. api capaci di individuare le celle infestate dalla Varroa e che provvedono alla apertura e rimozione delle pupe dalle celle parassitizzate;
  3. api che presentino una spiccata attività di spulciamento (grooming) sia per se stesse (Self-grooming) che tra di loro (Allo-grooming);
  4. api dotate dotate di una certa resistenza acquisita (immunità) alle principali virosi e batteriosi trasmesse dalla Varroa perché semplicemente sopravvissute ad esse.

Di conseguenza è più giusto ed auspicabile combattere la Varroa in fase riproduttiva, perchè, è proprio questo il momento in cui le api vengono fortemente indebolite dalla parassitizzazione dell'acaro che ne pregiudica fortemente il loro sviluppo durante le delicate fasi di metamorfosi: in definitiva un'ape adulta che nasce da una cella parassitizzata è già un'ape molto compromessa e pertanto è anche comprensibile che il trattamento in fase foretica non ne migliora più di tanto, in definitiva, il suo stato generale di salute!
Inoltre eseguendo i trattamenti contro la Varroasi in fase foretica, otteniamo, a lunga scadenza, esattamente l'effetto opposto inducendo e selezionando una resistenza nel parassita e ciò avviene quanto più il prodotto è efficace come per gli acaricidi di sintesi, ma avviene anche quando si usano semplicemente gli acidi organici (ossalico, formico, lattico e citrico): l'apicoltore crede di agire contro la malattia, ma in realtà, la sta favorendo ed è esattamente quello che accade anche nell'agricoltura convenzionale con la lotta chimica contro gli insetti dannosi e le erbacce!
Per ultimo bisogna anche considerare che i prodotti usati contro la varroa agiscono generalmente per contatto, ma abbiamo anche visto come in piena fase foretica di svernamento le Varroe riescono a rimpiattarsi tra le lamine ventrali dei segmenti dell’addome delle api riuscendo così ad evitare il contatto con queste sostanze.
Tutto ciò dimostra perché poi, il continuo e sistematico uso di questi prodotti rendono alquanto inefficace la lotta, con la produzione di un miele sempre più contaminato da queste sostanze.

LOTTA BIOLOGICA ALLA VARROATOSI
  • Praticare quanto più possibile una apicoltura bio-naturale da autoconsumo (cioé non finalizzata alla vendita del miele e quindi meno intensiva e meno esigente dal punto di vista produttivo), preferibilmente con arnie più confortevoli quali ad esempio l'arnia verticale "Perone" e/o l'arnia orizzontale "KTBH" (Kenya Top Bar Hive);
  • Uso del fondo con cassetto antivarroa associato magari all'uso di essenze naturali meno dannose quali ad esempio gli oli essenziali (canfora, eucaliptolo, mentolo, timolo) che sembrano avere solo un effetto di "stordimento" sulla varroa la quale tende così ad allentare la presa sull'ape e a precipitare nel cassetto antivarroa (caduta naturale); meglio ancora sarebbe, come suggeriva Velapè, collocare l'arnia in mezzo au un boschetto di menta, timo ed altre aromatiche simili e dall'effetto repellente per le Varroe  
  • Eliminazione della covata maschile. Con questo metodo si sfrutta lo spiccato tropismo della varroa (8 su 9) per la covata maschile essendo, come abbiamo visto, di periodo più lungo rispetto a quelle delle operaie. Occorre osservare i tre seguenti punti:

    1. Effettuare l’asportazione delle celle da fuco in modo tempestivo (marzo);
    2. Inserire i telaini da fuchi nelle immediate vicinanze del nido di covata per favorirne la rapida costituzione;
    3. Il favo deve essere ritagliato prima dello farfallamento dei fuchi, altrimenti si favorisce la moltiplicazione della Varroa e rimuovere il telaino da fuchi dopo l’ultimo ritaglio.

N.B.:allo scopo di ridurre la popolazione delle Varroe normalmente in un alveare si provvede a distruggere sistematicamente le covate dei fuchi, anche perché questi maschi, avendo la ligula corta e non essendo perciò in grado di bottinare non producono miele e anzi lo consumano perché devono essere nutriti dalle operaie, la qual cosa è considerata una perdita economica per l'apicoltore professionista. In realtà ci si sta sempre di più rendendo conto che i fuchi, oltre alla funzione riproduttiva nel fecondare la regina, hanno certamente altre funzioni nell'alveare relativamente ad esempio alla trofallassi (lo scambio del nettare da un insetto all'altro) collaborando così nell'allevamento delle larve. In un'ottica quindi di apicoltura bio-naturale sarebbe auspicabile rivalutare il ruolo di queste api maschio, permettendo anche a loro di vivere e compiere il loro ciclo biologico magari provvedendo a sanare le loro covate dalla infestazione di varroa tramite "termoterapia" (vedi oltre) piuttosto che distruggerle ed essendo disposti a sacrificare parte del miele prodotto per il loro sostentamento 
  • Telaino trappola: Telaino da nido senza armatura con 5 cm di foglio cereo nella parte superiore. Viene inserito alla ripresa primaverile in prossimità della zona di covata. Dopo 10/12 giorni si asporta la covata da fuco. L‘intervento termina quando all'interno della famiglia cessa l’allevamento dei maschi. Permette di eliminare fino al 75% delle varroe.
  • Telaino Campero (TIT3 - Telaino da nido Indicatore Trappola a 3 settori): É un telaino da nido diviso in tre settori verticali da due listarelle; dopo otto giorni si ritaglia la prima sezione di favo, dopo altri sette giorni si ritaglia la seconda porzione di favo che possiede già numerose celle di covata maschile. Alla terza settimana si taglia il terzo settore e così si entra nel ciclo di asportazione di covata maschile.
  • Spazio Mussi: sfrutta il fenomeno del grooming favorendolo; le api si staccano tra loro le varroe e le fanno cadere sul fondo dell’arnia (cassetto antivarroa). la distanza tra i due telaini laterali è normale e tra quelli al centro è maggiore, per un totale di 9 telaini nell’arnia. Da centro a centro di ciascun telaino intercorre la misura di 45 mm. 
    • Svantaggi dello spazio Mussi: 

      • formazione di ponti di cera tra telaino e telaino e tra telaino ed escludiregina;
      • la rottura di questi ponti comporta fuoriuscita di miele e reale pericolo di saccheggio per le famiglie più deboli;
      • i favi costruiti nelle arnie che adottano lo spazio Mussi non possono essere posti in altre arnie non modificate o nelle posizioni laterali delle arnie con spazio Mussi se non dopo aver asportato la cera eccedente con un coltello;
      • forti dubbi sull’efficacia del metodo.
  • Funghi entomopatogeni: è stato individuato dai ricercatori un fungo parassita delle varroe, il Metarhizium anisopliae che è un fungo cosmopolita, patogeno per più di 200 specie di insetti con assenza di patogenicità per le api. I relativi prodotti commerciali per ora realizzati si chiamano Bioblast® (USA) e Metaquino®(Brasile) ma non si trovano comunemente in commercio perché, evidentemente, esistono ancora vari problemi nell'efficacia di questo fungo, uno dei quali sembra essere la sua grande plasticità genetica, in seguito alla quale, già dopo un paio di generazioni sembra generare altri ceppi meno attivi nei confronti della varroa e perdendo così il suo forte potere parassitizzante...
  • Hirsutella thompsonii e spp.; Arthrobotrys oligospora; Verticillium leucanii; Beuveria bassiana etc.
  • Termoterapia (Ipertermia): I favi privati dalla api vengono posti in un cassone termico a 42-43 C° per 10-15 min almeno (qualcuno lo fa anche fino ad 1 h). Le varroe non sopravvivono a T° superiori a 40 C°. In questo modo si colpiscono solo le varroe in celle opercolate, per cui diventa secondario se non controproducente il trattamento sulle varroe in fase foretica. La temperatura deve essere controllabile molto bene con oscillazioni massime di +/- 1°C, per evitare danni alle larve e pupe delle api in metamorfosi che cominciano ad avvenire solo a temperature superiori ai 45°C.

Ho citato per ultimo il metodo della Termoterapia (da applicarsi in fase riproduttiva sulle covate una volta tolte le api adulte e in apposita camera termica) per evidenziarla dagli altri accorgimenti, in quanto lo ritengo, personalmente, il più importante di tutti per le ragioni che ho già spiegato: sono convinto che la Varroatosi si possa controllare bene adottando una nuova apicoltura bio-naturale più rispettosa della vita e del benessere delle api e adottando insieme tutti questi accorgimenti biologici, che alla fine dovrebbero anche farci evitare i trattamenti con gli acidi organici in fase foretica, che, come abbiamo visto, lasciano il tempo che trovano e ostacolano lo sviluppo di resistenza da parte delle api parassitizzate. Questo metodo (come anche descritto da uno dei suoi primi applicatori W. Engels dell'Instituto di zoologia dell'Università di Túbingen - Germania) non dovrebbe indurre sviluppo di resistenza nella varroa perché muoiono tutte senza alcun sopravvissuto. Data la sua efficacia si potrebbe essere tentati dall'usarlo sistematicamente ad ogni covata per eradicare la Varroatosi, ma ciò sarebbe ecologicamente sbagliato e praticamente impossibile: il metodo va adottato solo per il controllo della popolazione di Varroa in quei casi in cui le covate, una volta monitorate, risultano essere eccessivamente infestate; pertanto il metodo termico dell'ipertermia è ben applicato solo se serve a contenere la popolazione delle varroe, lasciando così che le api (nate a questo punto sane) siano in grado di sviluppare anche una loro resistenza naturale alla malattia in fase foretica contro le altre varroe che nel frattempo rimangono attive sugli adulti:<<In alternativa alla terapia chimica usuale, il metodo dell'ipertermia rappresenta il vantaggio di non lasciare alcun residuo; quindi i prodotti dell'alveare sono protetti da qualsiasi contaminazione. Inoltre non si ha il rischio di determinare una resistenza degli acari rispetto l'agente acaricida utilizzato, anche per la durata limitata dell'applicazione del calore che non potrà causare una pressione selettiva permanente. La procedura utilizzata presenta effetti negativi sulla colonia d'api di entità trascurabile. La mortalità della covata nei telaini trattati è stata inferiore al 5% (Engels, 1994). La durata in vita delle operaie (e dei fuchi) che sono nati dai telaini trattati con il calore non è stata per nulla influenzata. Le osservazioni hanno evidenziato che le operaie hanno percorso le tappe normali dell'evoluzione comportamentale caratteristiche delle loro età. Lo sviluppo delle colonie e le produzioni di miele fornite hanno dimostrato che l'ipertermia non ha prodotto alcun effetto negativo sulle api.(W. Engels Institut de zoologie Université de Túbingen - Germania) >> 

Con questa lunga e spero non noiosa descrizione della Varroatosi mi auguro di trovare altre persone che la pensino come me e che procedano in tal senso e spero soprattutto che, da questa mia esposizione, emerga il fatto che il fine ultimo non è produrre il miele, bensì di "arricchire di vita" il nostro orto godendo anche della presenza delle api (le quali ci ricompenseranno con parte del loro miele e dei loro altri prodotti E NON SOLO) e perché no anche dei loro parassiti della varroa, che hanno pieno diritto ad esistere quanto loro (e quanto noi), ma in equilibrio con loro (e noialtri), senza lasciare che certe condizioni di disequilibrio, causate generalmente dall'uomo, possano far loro prendere il sopravvento compromettendo definitivamente la vita della famiglia di api e di conseguenza anche la loro stessa vita: del resto, com'è facile intuire, in natura questo non potrebbe verificarsi perché sono proprio i parassiti, in quanto tali, ad avere a cuore la sopravvivenza della specie dei propri ospiti e questo sarebbe anche il senso di una eventuale teoria evoluzionistica della natura, semmai ce ne dovesse essere una, ma dobbiamo anche ammettere che le api soccombono evidentemente non certo a causa della Varroa destructor e degli altri parassiti, ma forse perché a questi, più di tutti, si ne è aggiunto un altro molto peggiore e temibile che si chiama "uomo", che quando agisce per i suoi standard di alti livelli produttivi si comporta inevitabilmente da dominatore/distruttore/regolatore ponendosi, erroneamente, al di fuori e al di sopra del contesto in cui vive (in particolare mi riferisco all' apicoltura così come viene intesa comunemente con i suoi livelli produttivi ed i suoi trattamenti chimici di difesa).
Bisogna comprendere fino in fondo che le api, prima ancora che servire a noi per la produzione del miele, della cera, della pappa reale, della propoli, dell'ape terapia da puntura, ecc., hanno un ruolo essenziale nell'ecosistema vegetale delle angiosperme in quanto, con la loro attività di bottinamento dei fiori, inconsapevolmente, provvedono anche a fecondarli, essendo i più importanti insetti "pronubi" (= che favoriscono le nozze) e donandoci così quella bellissima e numerosissima varietà di piante (e quindi di frutti) che noi tutti ben conosciamo.

Buon Volo

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